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Officina Microtesti

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Guide

Lo UX Writing degli Stati Vuoti

Ottobre 21, 2019 da Officina Microtesti

Lo UX Writing degli Stati Vuoti può migliorare le interazioni con questi particolari elementi delle interfacce utente.

L’UX Writing degli Stati Vuoti può migliorare le interazioni con questi particolari elementi delle interfacce utente.
Un esempio di Stato Vuoto: il carrello di Toast.

Otto mesi fa ho progettato i contenuti di una app che aiuta le imprese che conoscono poco il mondo del credito a richiedere dei finanziamenti.

Come spesso succede, sono partita da quelli facili: i messaggi di errore, i messaggi di conferma, i moduli, i segnaposto.

Poi sono arrivata agli Stati Vuoti, il gioco si è fatto duro, e ci siamo arenati in tre: io, lo UX Strategist e l’UX Designer.

Ma andiamo per ordine.

Gli Stati Vuoti, l’ansiolitico digitale

Gli Stati Vuoti sono quei “passaggi” nei quali non c’è niente da mostrare agli utenti. Per esempio, la pagina che troviamo dopo una prima registrazione, oppure un carrello vuoto o una ricerca che non dà risultato.

Li chiamo l’ansiolitico digitale perché ti tolgono da quello stato di incertezza e inquietudine di quando non sai bene cosa fare: cliccare, o scappare e non tornare mai più.

I manuali di UX Design te lo ripetono come un mantra.

Ricordati di Santificare gli Stati Vuoti.

Eppure, c’è ancora troppo spesso uno sviluppatore lasciato lì a dirimere la questione da solo: e adesso cosa scrivo?

La frase più bella che ho trovato su questo tema la scrive Kinnereth Yfra nel suo “Microcopy. The complete Guide”:

“Quando lasci vuoto uno stato vuoto, stai dicendo ai tuoi utenti quello che non c’è. Ma stai anche perdendo l’occasione di dire loro cosa c’è”.

Il gioco dei pieni e dei vuoti inizia qui: se scegli di stare dal lato del tuo utente, ci devi stare e basta.

Quanto valgono le parole quando non sai cosa fare

Negli ultimi anni c’è un’attenzione sempre maggiore alla scrittura per la user experience. Che sia UX content strategy, language design, content design o UX Writing, il senso è lo stesso: scrivere per le persone e accompagnarle in un percorso soddisfacente e semplice.

Oggi nel web è raro trovare Stati Vuoti completamente vuoti. Ci sono molte soluzioni di design, anche se capita ancora di trovare testi che stanno lì solo perché “qualcosa ce lo dovevamo scrivere”.

Ma quanto valgono le parole quando non sappiamo cosa fare? 
Le parole hanno un valore incredibile: ci prendono per mano, diminuiscono l’incertezza e ci mostrare cosa possono fare e perché ci conviene farlo.

Il mio Stato Vuoto più problematico era il carrello dei servizi di consulenza. Come utente, mi capita spesso di andare a vedere se nei carrelli che uso ho aggiunto inavvertitamente qualcosa.

La tentazione è sempre quella di scrivere che il carrello è vuoto, come nell’e-shop di Carrefour.

ux writing carrefour
UX writing per l’e-shop di Carrefour

La frase “Non ci sono prodotti nel carrello”, che occupa solitaria il cuore di una lugubre pagina bianca, afferma solo una condizione del sistema (cioè che non ci sono prodotti nel carrello), e non dà nessuna indicazione ulteriore all’utente.

È una doppia sconfitta, e uno spreco: gli Stati Vuoti sono delle grandissime opportunità per creare un dialogo fruttuoso con l’utente.

Negli otto mesi intercorsi fra l’app finanziaria e questo articolo siamo stati tentati più volte di cercare una soluzione precotta che ci mettesse al riparo dalle ire degli utenti/clienti e degli addetti alla Customer Care dell’app.

Un’app che aiuta a chiedere finanziamenti si rivolge a persone che sanno poco di finanza e fondi: sembra lapalissiano, ma non bisogna mai dimenticarlo.

Spesso queste persone non si muovono bene all’interno del mondo digitale. La nostra user persona era il dipendente di un ufficio amministrativo di una impresa tradizionale. La ditta, insomma. Persone che hanno una lunga esperienza con la partita doppia ma che sui fondi e i finanziamenti non hanno una grande mano.

Per loro ci sono dei servizi di consulenza su misura che possono acquistare: li vedranno nel carrello. Ma se non hanno ancora acquistato, il carrello rimarrà lì a minacciare col suo nulla la placida navigazione del ragionier Perelli?

Una soluzione di design

Le parole sono parte del design, e la soluzione richiedeva forma e contenuto.

È un po’ come nei gialli da vacanza estiva: vuoi sapere com’è andata a finire, e allora te lo racconto subito.

La soluzione me l’ha data la commercialista del mio Caf. Davanti a una pagina bianca del suo software per le dichiarazioni dei redditi, ha pronunciato sottovoce le parole magiche:

Almeno dimmi cosa devo fare.

E allora il carrello dell’app lo abbiamo riempito noi. Di attenzioni per la nostra user persona, il ragionier Perelli.

Nello Stato Vuoto abbiamo scritto quello che ci piacerebbe sentirci dire quando entriamo in una grande ufficio e non sappiamo dove andare.

Abbiamo scritto le istruzioni per aiutare il ragionier Perelli a capire che non aveva sbagliato nulla, e che anzi l’app era lì per aiutarlo.

Gli abbiamo detto che:

  1. Quella pagina era vuota perché non aveva ancora scelto il servizio di consulenza per individuare e richiedere il finanziamento più adatto alle sue esigenze;
  2. Con un click poteva visualizzare i vari servizi a disposizione, e chebastava “Aggiungere al carrello” quello che riteneva più adatto ai suoi bisogni;
  3. Che poteva però tornare a visualizzare le altre funzioni dell’app. Anzi, abbiamo inserito le principali.

Perché investire il tuo tempo in UX Writing degli Stati Vuoti

Senza giri di parole: per aumentare gli acquisti di prodotti o servizi e per evitare che il tuo servizio di assistenza venga sommerso da richieste di aiuto.

Nel nostro caso valeva più la prima opzione: aumentare la probabilità di vendere i servizi di consulenza.

In altri casi, e penso ad esempio agli e-commerce di abbigliamento o tecnologia, a fare in modo che le persone non si perdano, non perdano gli oggi che hanno acquistato, e non contattino in massa la customer care.

La scrittura per la user experience ha questo obiettivo:

  1. informare le persone
  2. guidarle mentre stanno compiendo delle azioni
  3. rassicurarle che tutto è andato bene.

Dobbiamo ridurre le frizioni dove è più probabile che si verifichino. Dove il nostro ragionier Perelli può trovare un intoppo e bloccarsi, preoccuparsi o spaventarsi.

Investire il nostro tempo sugli Stati Vuoti è stato un insegnamento per il team di sviluppo, una spinta commerciale per cliente che ha creato l’app e un aiuto per chi la userà.

E una buona soluzione all‘eterna, ansiogena domanda: e adesso cosa scrivo?

In Italia c’è lavoro per gli UX Writer?

Ottobre 2, 2019 da Valentina Di Michele

Esattamente un anno fa è nata Officina Microtesti. Dopo un anno di lavoro nel settore della scrittura per la user experience, siamo pronti a dire la nostra sulla domanda che ci rivolgono più spesso:
“Ma in Italia c’è lavoro per gli UX Writer?”

Per sapere la risposta dovrai arrivare alla fine di questo articolo.
Se hai fretta, posso dirti che qualcosa da fare per gli UX Writer ci sarebbe, ma bisogna ancora lavorare un po’ perché le aziende lo riconoscano.

Perché le cose cambiano se cambiamo anche noi.

Noi e l’UX Writing, dall’inizio

Quando a ottobre 2018 abbiamo deciso di partire con uno studio iper specializzato nella progettazione di esperienze verbali eravamo i primi in Italia.
Essere i primi per ordine di tempo non significa avere inventato una professione o delle attività. Andrea Fiacchi si occupava di progettazione di contenuti per la user experience e neuroscienze e io di content strategy da almeno vent’anni, e anche in questo campo, non eravamo né i primi né gli ultimi, né i migliori né i peggiori.

Conoscevamo però il panorama digitale italiano e pensavamo che mancasse uno spazio interamente dedicato alle neuroscienze e la scrittura per la UX, e ci siamo buttati.
In un anno di lavoro, abbiamo imparato molte cose anche sul mercato del lavoro in Italia.

Cosa fa uno studio di UX Writing e Behavioral Design

Il giorno in cui abbiamo “battezzato” Officina Microtesti stavamo lavorando a un progetto di UX Writing (un’app di educazione finanziaria).
Andrea curava la progettazione cognitiva (il design comportamentale o behavioral design) e l’architettura dell’informazione, io i contenuti e il punto di vista marketing.
Prima ancora, i lavori di scrittura per la user experience erano arrivati perché ci conoscevano già come freelance o grazie a società di user research e user experience con le quali collaboravamo da tempo.

L’elemento comune a tutti era la richiesta di progettare l’esperienza verbale. Non di riscrivere i testi insomma (ne parliamo fra due scroll di mouse), ma di analizzare il contesto e i dati di ricerca e dare un senso diverso al prodotto o al servizio con contenuti adeguati allo stato d’animo, ai pensieri, alle emozioni e agli eventi di avvicinamento degli utenti di quel prodotto o servizio.

Un giorno, sono rimasta ferma su un microtesto per due ore. Avevo bisogno di aiuto e non sapevo a chi chiederlo, perché era un testo tecnico e richiedeva delle competenze molto specifiche.

Su Facebook esisteva già una community internazionale di Microcopy & UX Writing, ma era in inglese.
E allora ho pensato di aprire una community italiana, che si è subito popolata di grandi professionisti italiani della scrittura e della UX: insomma, il posto perfetto dove scambiare proposte e farsi compagnia.

Foto: Goian su Unsplash

Offerte di lavoro per UX Writer

Durante questi mesi di vita di community e ricerche, ho scoperto che in Italia ci sono poche figure di UX Writer all’interno delle aziende.
Sono soprattutto in società di UX o di consulenza digitale e in aziende strutturate o multinazionali, in particolare e-commerce.

Molte persone che ho conosciuto progettano e scrivono contenuti e microcontenuti per i siti web o app, o si occupano di localizzare contenuti dall’inglese o altre lingue. Alcuni sono designer o sviluppatori che scrivono, o business o technical writer che conoscono da sempre le regole dell’UX Writing perché, oltre i sensazionalismi, nulla si crea e nulla si distrugge.

In 8 mesi di gestione della community, ho ricevuto e condiviso 12 offerte di lavoro per UX Writer. Sono poche o molte?
Dipende. Non sono moltissime, ma la notizia più impressionante è che in 6 casi è stato molto difficile per chi le ha pubblicate trovare professionisti adatti. Se in 2 casi la difficoltà era legata alla geolocalizzazione (la sede di lavoro era lontana) o all’offerta contrattuale (impegno full-time o di consulenza), per 4 il problema è stato la mancanza di background e competenze adeguate.

Qui esce il nerd in me: se ci attenessimo solo alla matematica, potremmo dire che un terzo della domanda non ha trovato offerta, indipendentemente dalla proposta economica (in alcuni casi sarebbe stata basata sull’effettiva competenza).

Per quanto riguarda i progetti che gestiamo come Officina Microtesti, su 12 preventivi solo 3 ci chiedevano di riscrivere testi e microtesti.
Le richieste ci sono arrivate da aziende multinazionali ma anche da studi di design italiani: abbiamo prodotto un mare di casi di studio che pubblicheremo nel 2020 (eh, la privacy).

In Italia c’è lavoro per gli UX Writer?

Vengo subito al punto: dipende.

Il lavoro di UX Writer non è ancora una pratica da agenzia di web design o di copywriting tradizionali.

Le offerte di impiego fisso sono poche, e quando capitano bisognerebbe coglierle al volo, perché arrivano di solito da società solide con una altrettanto solida organizzazione del team di progetto.
Probabilmente il ruolo non sarà solo di UX Writer: in questo articolo scoprirai che in Italia lo famo strano, e che se all’estero lo UX Writer fa solo lo UX Writer, da noi è anche content designer e architetto dell’informazione.
Se sei abituato al copy di agenzia, dovrai avere anche altre competenze.

Foto: Gaelle Marcel su Unsplash

E allora mollo tutto?

No, ma come dice mio padre, amore è conoscenza.

Se vogliamo che questo ruolo diventi prima visibile e poi attraente per le aziende, dobbiamo farlo bene. Veramente bene.

Non sarò diplomatica: non ci si ricicla UX Writer senza studiare.
Perché in generale in qualsiasi professione non ci ricicla senza studiare.

Le aziende che hanno contattato Officina Microtesti in questo primo anno avevano un’idea chiara di cosa avevano bisogno: un’idea più vicina alla UX che alla scrittura.
A volte ho pensato che avessero più bisogno dell’UX che del Writing, del design comportamentale più che del content design.

Se vuoi diventare uno UX Writer

Ti do qualche consiglio non richiesto, ma forse ti sarà utile.

Se vuoi diventare uno UX Writer, e magari partire da consulente per poi passare a un contratto diverso, non puoi limitarti a scrivere Call To Action e moduli simpatici e persuasivi.

Lo UX Writer è un ruolo difficile. È una rogna lavorare con i designer. Gli sviluppatori li faresti a pezzetti piccolissimi, da mettere in una valigia sepolta in cantina. Quando ci sono il team di marketing o di prodotto, volano gli insulti.

Questo devi saperlo, perché il tuo ruolo sarà in un gruppo più o meno complesso, e sarà sempre e comunque arduo fare da ponte tra la ricerca e il design, e anche se sei un pezzo del design non sarà semplice essere riconosciuto.

E la difficoltà non finirà con le relazioni interpersonali, perché dovrai convincere gli altri con la bontà della tua proposta lavorando su testi difficili.

  • Dovrai conoscere la progettazione user-centered e le basi cognitive della user experience, che in realtà sono le basi di come funzionano tutte le persone, nel digitale e nella vita reale;
  • Dovrai racchiudere in tre parole la rassicurazione per la persona esasperata alla quale hanno cancellato l’unico autobus che la riportava a casa di sera, senza farti odiare;
  • Dovrai sapere come ci si sente quando la lunga procedura di prenotazione di un viaggio genera un messaggio di errore;
  • Dovrai imparare a usare parole che guidano, che spesso non sono né simpatiche, né persuasive, né wow.

Anzi, a volte saranno così trasparenti che chi le leggerà si ritroverà a fare delle azioni quasi inconsapevoli, e sarà quello il tuo maggiore successo.

Pensi di farcela? Io penso che generare circoli virtuosi faccia bene a tutti. Per questo c’è il gruppo Microcopy & UX Writing Italia, facciamo anche eventi e molto altro.

Vieni?

Test per l’UX Writing: scopri se le tue parole funzionano

Maggio 11, 2019 da Andrea Fiacchi

test call to action

Come UX Writer, il nostro compito è scrivere testi e microtesti che ottengono risultati efficaci. I test per l’UX writing ci aiutano a dare valore all’utente che li userà e al cliente che ci ha scelti.

Nell’UX Writing abbiamo bisogno di capire quali sono i valori degli utenti, i loro desideri e bisogni per confezionare i testi e microtesti perfetti che permettere loro di ottenere quello che vogliono, in tempo breve e con la massima soddisfazione. Loro e del cliente.

UX e UI Designer hanno a disposizione molti strumenti per valutare l’efficacia e l’usabilità del design. Ma quali sono le frecce nell’arco di uno UX Writer per valutare se una Call To Action, un form o un messaggio di errore sono chiari per gli utenti e li aiutano a usare meglio il nostro sito?

I metodi per testare il contenuto

Ci sono diversi modi per testare il contenuto e cambiano in base alla fase del processo di sviluppo in cui ci troviamo, al tempo che abbiamo a disposizione, alle risorse, al tipo di materiale che vogliamo testare e agli scopi del nostro studio.

Con un tipo di test ci potremmo sentire più a nostro agio e con altri meno: la scelta di un metodo richiede anche una valutazione delle proprie attitudini.
Abbiamo già visto come si fanno i test dei contenuti per l’UX Writing.
Oggi scopriamo 6 test che ci aiutano a capire se le parole che abbiamo scelto funzionano davvero:

  1. Test di leggibilità
  2. Cloze test
  3. Test dell’evidenziatore
  4. Test di comprensione
  5. Test di usabilità delle parole
  6. A/B Test

Come scegliere i partecipanti ai test?

Quando facciamo dei test di comprensione, dobbiamo prestare molta attenzione a come recrutiamo i soggetti. Le persone che partecipano ai test devono essere rappresentative dei nostri veri utenti, altrimenti il test non funziona. 

Le persone del nostro ufficio non vanno bene. Fare test di comprensione con persone che condividono il nostro modello mentale aziendale e le nostre conoscenze non fornisce una misura affidabile della comprensione di un testo.

1. Test di leggibilità

Le formule di leggibilità misurano elementi misurabili delle parole in modo quantitativo, ad esempio la lunghezza delle parole e delle frasi. In questo modo prevedono il livello di difficoltà e di istruzione richiesto per poter capire il testo.

Esistono molte formule per misurare la leggibilità ma le differenze sono minime e potete usare quella che trovate più comoda (anche Word ha una sua formula).
I test di leggibilità più usati in italiano sono la formula di Flesch-Vacca e l’indice GULPEASE (Gruppo universitario linguistico pedagogico, presso l’Istituto di Filosofia dell’Università degli studi di Roma «La Sapienza»).

Se scrivi per un pubblico ampio (es. una pubblica amministrazione) o a dei consumatori non profilati, i testi devono avere valori di leggibilità inferiori all’80%, mentre se progetti un’applicazione dedicata a professionisti puoi scrivere testi con valori più elevati (livello di studi superiori).

Questi test sono un metodo rapido ed economico per sapere se il nostro testo è difficile (fai subito una prova da questo link).

Ricorda: sono test sul contenuto, non sulla comprensione. 

  • La leggibilità è una proprietà del contenuto stesso e predice il livello di istruzione di cui una persona ha bisogno per leggere il contenuto senza difficoltà.
  • La comprensione è una combinazione tra caratteristiche del testo e le caratteristiche del lettore e indica se un il nostro pubblico target capirà il significato del testo.

La comprensione dipende dalle conoscenze pregresse del lettore e dal suo modello mentale, oltre ad altre variabili situazionali come la capacità di prestare attenzione, l’emozione del momento, l’affaticamento cognitivo. 

Per lo UX writers i test di leggibilità hanno anche altri limiti:

  • Non considerano chi legge: lo stesso testo potrebbe essere facile o difficile in base al target di riferimento; se non conosciamo le persone per cui stiamo scrivendo e le loro capacità di lettura, un test di leggibilità serve a poco;
  • le formule sono basate su ricerche datate: i ragazzi oggi hanno capacità di lettura diverse rispetto ai loro coetanei delle precedenti generazioni, quindi potremmo star valutando la leggibilità con un metodo absoleto;
  • la leggibilità non garantisce l’attenzione del lettore anzi, forse la penalizza. Pensate al ritmo del testo: per mantenere l’attenzione dovremmo alternare frasi lunghe e corte, dare al testo un ritmo, una musicalità. La leggibilità premia invece solo le frasi brevi a discapito del ritmo.
  • la lingua si adatta continuamente ed espressioni gergali possono essere pane quotidiano di un target e completamente sconosciute ad un altro. Non c’entrano nemmeno gli anni di istruzione: riferimenti da film e musica possono essere facili da leggere ma incomprensibili per chi non il conosce.

2. Cloze test

Il cloze test (o cloze deletion test) è simile a quei giochi in cui devi indovinare la parola mancante in una frase.
È basato sulle teorie dell’organizzazione mentale sviluppate dalla scuola della Gestalt: cloze viene da closure (vicinanza), il meccanismo per cui gli individui completano automaticamente le forme incomplete.

Il cloze test è molto utile per capire se il tuo pubblico di riferimento capisce davvero cosa abbiamo scritto. Possiamo considerarlo un metodo storico: è usato infatti dal 1974, quando lo propose per la prima volta W. L. Taylor.

Come si fa un Cloze test

  1. Seleziona un testo e sostituisci con uno spazio vuoto una parola ogni N vocaboli. Più è più elevato N più il test è semplice. Per testi lunghi, usa 6 come valore di N (uno spazio vuoto ogni 6 parole), ma per i microtesti questo valore deve essere molto più basso e in linea con la lunghezza del microtesto;
  2. Chiedi ai partecipanti di leggere il testo così creato e di riempire gli spazi bianchi con la loro risposta migliore;
  3. Calcola il punteggio, cioè la percentuale delle risposte corrette. I sinonimi valgono, anzi, se un sinonimo ricorre frequentemente potrebbe essere la parola giusta, cioè quella più usata dai tuoi utenti.
    Se il punteggio ottenuto dai partecipanti è maggiore o uguale al 60%, il testo è comprensibile dal tuo target.

3. Test dell’evidenziatore

Questa tecnica è facile, veloce e permette di capire subito l’impatto dei contenuti sulle persone. 

È usata dal team di ricerca e sviluppo del portale Gov.uk, quindi per me è già un sinonimo di efficacia: è spiegato qui.

Con questo test possiamo capire come semplificare e chiarire la descrizione di un servizio o di un prodotto o un’istruzione tecnica. Possiamo quindi fare delle scelte sul modo di scrivere i nostri contenuti sulla base della ricerca con gli utenti, per aiutarli davvero nella comprensione. 

Nella sessione di ricerca chiediamo ai partecipanti di leggere i contenuti stampati su carta. Chiediamo di sottolineare in verde le cose che ispirano fiducia sul nostro servizio e in rosso le cose che non ispirano fiducia o confondono.

Finita la sessione ricerca sottolineiamo le frasi con il colore corrispondente a quello usato dai partecipanti; dopo aver ripetuto la procedura per tutti i partecipanti vedremo a occhio come il testo è stato interpretato dalle persone.
Le parti in verde scuro saranno quelle che hanno ispirato più fiducia; le parti in rosso scuro saranno le parti più critiche.

Come si fa un test dell’evidenziatore

  1. Scegli un contenuto da testare e determina i fattori da valutare (fiducia nel servizio, empatia con l’azienda, motivazione all’acquisto, etc…). Usa dei pennarelli colorati in base a questi fattori;
  2. Consegna ai partecipanti le stampe dei testi, i pennarelli colorati e le istruzioni su come marcare il testo; se testi più di un fattore (per es. fiducia e motivazione all’acquisto) usa due fogli diversi per ogni fattore, per evitare confusione nella marcatura;
  3. Calcola il risultato: il colore fornisce un colpo d’occhio immediato sulle parti che devono essere riscritte. Se volete un dato quantitativo, potete calcolare il numero di persone che hanno marcato una particolare parte del testo e fare delle statistiche.

Nell’esempio fatto in apertura il test riguardava la fiducia nel servizio (in verde) e la mancanza di fiducia (in rosso) ma possiamo usare altri fattori e altri colori per valutare gli stessi contenuti.
Possiamo anche chiedere agli utenti di commentarci le loro risposte e acquisire così altre informazioni sui loro pensieri e le loro emozioni.

4. Test di comprensione delle parole

Un test di comprensione è composto da domande che valutano se una persona ha compreso il testo che gli abbiamo sottoposto. Possiamo testare microtesti e intere pagine.

Come si fa un test di comprensione delle parole

  1. Seleziona le parole che vuoi testare. In caso di testi più lunghi decidi se dividerli in brani più brevi;
  2. Crea le domande basate su un possibile scenario (una lista di ottimi consigli su come creare le domande a scelta multipla sono suggerite da A List Apart);
  3. Consegna ai partecipanti una copia dei contenuti e il questionario. Non esagerare con le richieste: 20 minuti sono un tempo più che sufficiente per vedere se i vostri utenti hanno capito cose gli hai detto.
  4. Calcola il punteggio.
Come creare domande a scelta multipla che funzionano

Formula la domanda in forma positiva.
Inserisci una sola risposta corretta o una sola risposta migliore delle altre.
Inserisci da due a quattro risposte sbagliate ma plausibili (distrattori).
Fai in modo che le alternative si escludano a vicenda.
Non inserire indizi nelle domande.
Evita le risposte “tutte le precedenti” o “nessuna delle precedenti”.
Evita le parole “mai”, “sempre” e “solo”.

Esempio:
Scenario:  Vuoi acquistare online un abbonamento al servizio di trasporti pubblici di Milano. Dopo quando tempo dal pagamento diventa attivo il servizio?
Risposte:
Subito dopo il pagamento
Dopo 24 ore*
Dopo la ricezione dell’attestato di pagamento da parte di ATM
Dopo poche ore dal pagamento
Non lo so
(* questa è la risposta esatta secondo il sito ATM)

5. Test di usabilità delle parole

Un test di usabilità delle parole, dei testi e dei microtesti ci può dare delle informazioni utili su come gli utenti usano il contenuto per risolvere un problema. Ci permette quindi di capire come usano la loro conoscenza per comprendere le nuove informazioni presenti nel nostro testo.

Come si fa un test di usabilità?

  • Trova il compito adatto agli gli utenti e utile per gli obiettivi dell’azienda;
  • Crea un compito in cui l’utente deve usare la sua conoscenza per portarlo a termine;
  • Chiarisci ai partecipanti che non vuoi testare le loro abilità ma solo il contenuto.

Torniamo all’esempio del sito ATM. 

L’azienda trasporti propone diversi abbonamenti sulla base della tipologia di uso e di utente.
Un tipico test di usabilità ha l’obiettivo di scoprire se gli utenti compiono facilmente l’azione:

Esempio: Acquista un abbonamento mensile

Questo compito però non richiede all’utente di comprendere le informazioni sulla differenza tra le diverse proposte e scegliere quella più adatta a lui. Per i nostri scopi di UX writer non è di grande utilità. Funziona molto meglio il compito:

Seleziona l’abbonamento più economico per le tue necessità di viaggio.

Per terminare questo compito i partecipanti devono considerare il contenuto per scegliere la migliore proposta per loro. Durante il test chiedi agli utenti di spiegare quali esigenze di viaggio hanno per capire se hanno fatto la scelta giusta.

Chiedi ai partecipanti di pensare a voce alta mentre leggono il contenuto. Otterrai delle buone indicazioni su ciò che trovano fuorviante e perché.
In un mondo perfetto i lettori capirebbero il testo con una sola lettura… non viviamo in un mondo perfetto ma lo devono leggere più e più volte: cerchiamo perciò di renderlo più chiaro. Inoltre, chiediamogli di parafrasare ogni parte: in questo modo avremo degli indizi su come riscriverlo meglio.

Ricordati che per testare i contenuti con gli scenari e la parafrasi, dovresti avere un’idea della risposta giusta.
Non è necessario ma aiuta a non andare del tutto alla cieca.

6. A/B Test

Gli A/B test sono i test che prevedono due (o più) versioni alternative di uno stesso copy che vengono confrontate per valutare quale funziona meglio. 

Questi test forniscono una risposta “funziona/non funziona” ma non ci danno una risposta sul perché funziona. Non indicano nemmeno dove il testo è confuso o fuorviante.

Questi test sono utili per le landing page o per annunci e inserzioni di Google Ads o Facebook, dove è possibile testare il gradimento degli utenti alle diverse versioni.

Da un test sulle istruzioni, gli errori, i feedback e le informazioni tecniche ci aspettiamo invece una risposta sul come e perché funziona (o non funziona) l’interazione per poter intervenire e correggere il tiro.

Per concludere

Per sapere se le nostre parole funzionano, dobbiamo testarle.
Testare i contenuti non risolverà tutti i problemi, ma ci aiuterà ad avere le idee più chiare su cosa funziona delle nostre parole e sul perché.
Valuta il test adatto alla fase di lavorazione del vostro progetto: hai
a disposizione tanti metodi per valutare i contenuti.
Pensa a cosa vuoi sapere e se ti senti a disagio con un metodo, prima di scegliere.
Non si può testare tutto; seleziona attentamente le parti di contenuto più utili per i vostri utenti e per il vostro cliente.
Assicurati sempre che gli utenti capiscano che stai testando i contenuti, non le loro abilità.
Non protraerre una sessione di test oltre i 30 minuti… non stiamo cercando la formula per l’immortalità!

Sitografia

  • https://uxdesign.cc/testing-for-ux-writers-78158531179f
  • https://medium.com/capitalonedesign/when-should-we-turn-to-content-testing-429f8bddf622
  • https://userresearch.blog.gov.uk/2014/09/02/a-simple-technique-for-evaluating-content/
  • https://alistapart.com/article/testing-content
  • https://www.cmswire.com/digital-experience/why-readability-scores-are-killing-your-content/
  • https://uxstudioteam.com/ux-blog/ux-copywriting/?utm_source=submitsites&utm_campaign=submitsites
  • https://www.nngroup.com/articles/cloze-test-reading-comprehension/
  • https://www.nngroup.com/articles/writing-for-lower-literacy-users/

Test dei contenuti: parole efficaci per l’UX Writing

Marzo 21, 2019 da Andrea Fiacchi

Come faccio valutare se le parole che ho scritto sono davvero efficaci? In questo post ti parliamo di UX Writing e dei test sui contenuti, di cosa testare e quando farlo.

L’UX Writing è una tecnica di design dei contenuti data-driven e misurabile. Le parole che scegliamo per i testi e i microtesti sono progettate sulla base dei risultati della user research e sottoposte a vari test per verificare che siano usabili, ma anche che ci diano i risultati che ci aspettiamo in termini di traffico e conversioni.

Nel post Come si fanno i test dei contenuti per l’UX Writing abbiamo parlato di cosa sono i test sui contenuti, perché si fanno e cosa testiamo. Oggi parliamo invece di come si misurano i risultati più adatti a ogni fase di progetto.

Quando testiamo i nostri contenuti?

Come tutti i designer, anche gli UX Writer seguono progetti divisi per fasi. In particolare, queste fasi sono tre:

  • prima cioè all’inizio del processo di sviluppo;
  • durante, cioè nel corso dello sviluppo;
  • dopo: cioè alla fine dello sviluppo (semplice, no?).

Testare all’inizio dello sviluppo (Addio, lorem ipsum)

La regola dice: è meglio testare i contenuti e i microcontenuti appena possibile. Questo significa che già durante la creazione dei prototipi dovremmo sforzarci di creare i contenuti, e abbandonare l’abitudine di usare dei marca posto o il lorem ipsum.

Lorem ipsum esempio
(il famigerato Lorem Ipsum)

Lavorare da subito con contenuti reali ha due vantaggi:

  • aiuta a scoprire da subito se la conversazione che stiamo progettando funziona
  • aiuta i designer nello sviluppo dell’interfaccia (perché possono lavorare su spaziature e stili applicati al testo quasi definitivo).

Ovviamente siamo nella fase di prototipizzazione: i testi non devono ancora essere perfetti. Basta che siano sufficientemente strutturati da dare un’idea realistica di quello che diremo all’utente.

Sembra difficile vincere le resistenze del cliente e riuscire a ottenere contenuti sensati da subito. Ma spesso l’evidenza vince, e il cliente capisce da solo che sì, conviene a tutti.

Vediamo:
i test aiutano il cliente a capire quale tone of voice usare, talvolta con risultati sorprendenti.

ux writing e test dei contenuti
Jorge Guillen – Pixabay

Ho fatto molti test sulla riscrittura dei contenuti di un gruppo bancario, e lavorato su due tone of voice diversi: uno professionale e distaccato, e uno accattivante e user friendly.

Questo secondo stile era lontanissimo dalle indicazioni del committente. La richiesta di usare uno stile distaccato era dettata dall’ansia di sbagliare e osare troppo che dai valori dell’azienda.
Con mia sorpresa, il tone of voice scelto dopo i test è stato addirittura più innovativo e centrato sull’utente, e ha prodotto un ripensamento totale dell’approccio dell’azienda alle persone.

Potere della scrittura!

Metodi utili in questa fase: Test di leggibilità Cloze test.

Testare durante lo sviluppo (dare struttura)

In questa fase passiamo dal prototipo dei contenuti alla versione definitiva, rifiniamo le parole, diamo struttura alle frasi e all’intera organizzazione dei contenuti.

È la fase in cui sono più utili i test sul contenuto.

Il test può aiutarci a capire se le parole che usiamo nell’interazione con gli utenti si adattano agli obiettivi della comunicazione, se le parole che abbiamo scelto sono chiare e comprensibili o se invece confondono.

Possiamo scoprire che alcune parole sono incomprensibili per gli utenti o che le persone assegnano loro significato diverso da quello che immaginavamo.
Possiamo scoprire che la nostra ironia non fa ridere ma indispettisce gli utenti, raggiungendo così il risultato opposto a quello prefissato.

Metodi utili in questa fase: Cloze test, Test dell’evidenziatore, Test di comprensione

Testare alla fine dello sviluppo (tu chiamale se vuoi, emozioni)

Testare i contenuti al termine della fase di sviluppo ci aiuta a capire se le parole che abbiamo usato durante tutta la conversazione sono coerenti con gli obiettivi di comunicazione.

Probabilmente in questa fase non sarà possibile fare un test dei soli contenuti perché le parole sono incorporate nell’interfaccia e la valutazione riguarderà la navigazione generale del sito, dove testo e grafica contribuiscono alla comunicazione.

Un test che possiamo fare in questa fase è un test del tone of voice: facciamo leggere agli utenti tutti i testi dell’interfaccia (compresi gli errori e i messaggi email).
L’obiettivo è assicurarci di mantenere il nostro stile narrativo in tutte le interazioni con l’utente e lasciarlo con una buona impressione della nostra azienda. 
Per questo chiediamo alle persone come si sono sentite al termine della lettura di tutti i contenuti (senza interruzioni) e di descriverci l’emozione generale generata in loro da quanto hanno letto.

Non chiediamo di indicarci subito le parole che hanno provocato questa emozione.

Partiamo dal generale (l’emozione generata dalla comunicazione) per arrivare al particolare (frasi e parole che stimolano le sensazioni e le emozioni) e capire perché il nostro contenuto provoca quella particolare emozione.

Metodi utili in questa fase: Test del tone of voice, Test di usabilità dei contenuti

Una piccola avvertenza: i test del contenuto non ci danno risposte sull’architettura informativa, la gerarchia dei contenuti, la formattazione e gli aspetti visivi del layout. 
Per rispondere a queste domande servono dei test di usabilità più o meno complessi. Per farli in modo facile ma efficace si può leggere Rocket surgery made easy di Steve Krugg (lo trovi qui sotto!).

Come si fanno i test nell’UX Writing

Febbraio 26, 2019 da Andrea Fiacchi

Test dei contenuti per l'UX Writing

Come testare i tuoi contenuti, creare una conversazione con i clienti e a valutare l’efficacia delle parole. Per UX Writer e copy che amano sperimentare  

Come direbbe Amelie Poulain, agli UX writers piace valutare il loro lavoro e misurare la loro efficacia. Vogliono sapere se le parole che hanno scelto, la loro sequenza o il tone of voice sono adatti ai loro clienti perché sono al servizio dell’utente e “la loro soddisfazione è il loro miglior premio”.

Ma come testare i testi dello UX Writing? Basta un test di leggibilità o un test di usabilità generale? O serve qualcosa di diverso?

I test dei contenuti per l’UX writing hanno obiettivi diversi sia rispetto ai test di leggibilità che a quelli di usabilità.

I test  di leggibilità ci aiutano a capire quanto è difficile un testo e quanti anni di studio sono necessari per capirlo. Non ci dicono se il contenuto è adatto al nostro target di riferimento e se mantiene il tone of voice scelto.
Come sanno tutti quelli che scrivono per un’azienda, ogni parola deve riflettere il linguaggio e il pensiero codificato dalla guida di stile aziendale.

I test di usabilità ci aiutano a capire se un’interfaccia è facile da usare. La facilità d’uso deriva da un insieme di fattori che lavorano in sinergia e il testo è solo un aspetto di questo mix. A volte troviamo interfacce efficaci con testi difficili o sbagliati: il design copre queste debolezze. 

Perché fare il test dei contenuti?

I test sul contenuto chiedono all’utente di analizzare soltanto le parole – non la grafica né le interazioni. Sono fondamentali per chi scrive parole per le interfacce digitali (UX Writer, technical writer o content designer), ma non solo.

Possiamo pensare il test del contenuto come una specie di prototipo della conversazione che vorremmo avere con l’utente.

I test sul contenuto ci aiutano a capire la conversazione che stiamo conducendo con i clienti in generale e in ogni specifico passaggio. Il risultato fa scoprire il contesto della conversazione e questo contesto guiderà il design della customer experience.

In un test del contenuto di solito presentiamo all’utente un testo su carta e valutiamo come e cosa comunica. Possiamo usare diverse tecniche anche in base alla fase di progettazione nella quale ci troviamo e alle domande a cui vogliamo rispondere.

I test possono aiutarci a rispondere a queste domande:

  • Il contenuto è adeguato per il target?
  • Le persone capiscono quello che abbiamo scritto?
  • La progressione dell’informazione che abbiamo pensato è utile per l’utente?
  • Quali touchpoint servono? Cosa dobbiamo dire all’utente in ogni fase?
  • Il contesto che pensiamo sia necessario si sposa con il modello mentale dell’utente? 
  • Cosa pensano di questa tema i nostri clienti? Che parole usano?
  • Quali principi dobbiamo considerare mentre scriviamo i contenuti? Quelli che abbiamo immaginato sono corretti?

Come tutti i metodi di ricerca, dobbiamo usare il test sul contenuto se pensiamo sia utile per il nostro progetto e per le domande che abbiamo in mente.

Cosa testare

Non è possibile testare ogni frase, call to action o pagina. Selezioniamo i contenuti critici per la tua impresa e testiamo quelli.

Se abbiamo dei problemi con il servizio di assistenza, ad esempio, testiamo solo quella parte del sito. In generale, se conduciamo i test dopo la messa online, ci concentriamo su quello che non funziona.

Le domande da non fare

Alcune domande non sono utili per i nostri obiettivi.

La prima è “Ti piace quello che hai letto?”
La gradevolezza dei testi è una misura che piace al marketing e alla promozione ma a noi non dice nulla.
Una persona potrebbe trovare gradevole un testo che in realtà non ha capito e che non la aiuta a compiere le azioni che deve fare. E anche se fosse efficace, non sapremmo cosa funziona di quel testo.

La seconda domanda che non ci aiuta è “Trovi chiaro quello che hai letto?”
Leggere è un’attività complessa e per certi versi innaturale.
Il cervello umano non si è sviluppato per leggere, ha dovuto adattarsi ed è per questo che impariamo a leggere con tanta fatica.
Leggere prevede due operazioni distinte:
1. decodificare i simboli (e assegnare loro un significato);
2. comprendere il senso del testo.

Se chiediamo agli utenti se hanno capito quello che hanno letto potrebbero rispondere di sì, perché hanno decodificato i simboli e hanno dato un senso alle parole. Potrebbero però non aver compreso il senso generale del testo o alcuni suoi passaggi sottili.
La sensazione di leggere comprendendo il testo ma non il significato è d’altronde un’esperienza abbastanza comune, soprattutto quando siamo molto stanchi.

(fine parte I – continua)

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