Ci hanno affidato il compito di dare una personalità unica a un brand che possiede un sistema articolato di siti web, app e chatbot, con una richiesta specifica: dare una voce umana alla tecnologia.
Il compito ci è sembrato subito facile, una passeggiata: ovviamente non era così. Com’è fatta la voce umana della tecnologia?
In questo articolo parliamo di conversazioni umane e interfacce digitali.
La facilità è fluida
Pensiamo a una scena fantascientifica (in questo momento storico): sono a una festa, non conosco nessuno. Un gruppo di persone parla di qualcosa che mi è familiare, per argomento o per linguaggio: entrare in chiacchiere è semplice.
Nel digitale, l’altra regole di conversazione che funziona è basata sulla fluidità: una informazione familiare, cioé scritta in modo accessibile, mi rassicura e mi dà la sensazione che quell’interfaccia voglia creare con me una relazione duratura.
La sensazione di facilità piace al nostro cervello, e in particolare al sistema che elabora i dati in modo semi-automatico.
Il Sistema 1 (si chiama così) crea uno schemino agile:
più facile = migliore = più affidabile = più piacevole.
In una parola, preferibile.
Il Nintendo Effect
Dopo aver visto in TV la pubblicità del Nintendo Ring Fit, abbiamo chiamato questa sensazione Nintendo Effect.
Il Nintendo Ring Fit è un videogame che ti permette di giocare mentre ti alleni: in pratica fai gli addominali con il ring del pilates mentre spari ai mostroni.
Si suda come in spiaggia ad agosto ma il cervello non percepisce la fatica e lo stress dell’attività fisica.
Otteniamo un obiettivo (restare in forma) quasi senza accorgercene: le abitudini durevoli si formano così.
La conversazione genera fiducia
Quando abbiamo creato la nostra voce umana della tecnologia, siamo partiti da qui: creare un processo fluido, per eliminare gli ostacoli di comprensione. Dirlo è sempre più facile che farlo, le sfumature di una conversazione umana sono infinite. E parte dalla scelta delle parole: saremo amichevoli o simpatici? Positivi o casual?
Per noi, una buona bussola è stata uno studio del Norman Nielsen Group sul tono di voce basato su interviste e test. Il risultato dice che un brand diventa desiderabile non perché amichevole o simpatico, ma perché genera fiducia.
E la fiducia cresce più velocemente quando l’interfaccia è conversazionale, cioé quando segue le regole della conversazione.
Creare una conversazione digitale dalla voce umana
“Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, possono dimenticare ciò che hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”.
Eric Wong, Senior UX writer di Google (la citazione è della poetessa Maya Angelou)
Il punto di partenza per creare una voce umana è quindi ascoltare prima di parlare, e poi capire le emozioni degli interlocutori, usare un linguaggio giusto e rispondere a tono.
Clifford Nass, docente a Stafford e tra le divinità del nostro Pantheon personale, lo dice benissimo in “The Man Who Lied to His Laptop“: le persone si rivolgono alla tecnologia come se fosse un’altra persona.
Ne abbiamo parlato molto in Emotion Driven Design (lo trovi qui ): avere una voce gentile (in senso stilnovistico) in una conversazione digitale migliora la nostra predisposizione a interagire.
Fino a qui, tutto bene: per definire una voce gentile dobbiamo prima capire com’è fatta una conversazione.
Il principio cooperativo
Una conversazione è una serie di scambi nei quali ci capiamo a vicenda e costruiamo una relazione che evolve nel tempo. È basata sul principio cooperativo: chi parla collabora con chi ascolta secondo regole di logica e di pertinenza.
Per spiegarlo basta pensare a quella prodigiosa tecnica che impariamo sin dall’infanzia: se vogliamo indispettire una persona che sta parlando con noi, ci basta non rispondere a tono, o non rispondere e basta.
Quando costruiamo la voce di un brand o di un prodotto digitale dobbiamo quindi immaginare come si adatterà a tutte le interazioni con le persone che useranno quel brand o prodotto.
Galateo di una conversazione digitale
Il galateo è un sistema di norme di comportamento. Quelle della conversazione si chiamano massime conversazionali, le ha definite il filosofo Paul Grice e sembrano fatte apposta per spiegare lo UX Writing che funziona:
- quantità: devo dare solo l’informazione necessaria. Se do troppi dettagli (per esempio, se nel messaggio di errore mi dilungo nel dettaglio del problema tecnico) entro automaticamente in zona Furio;
- qualità: devo offrire una informazione veritiera. Non dirò una cosa che suona falsa anche a me o sulla quale non ho prove. Se pensiamo ai dark pattern, scopriamo che è una delle regole più disattese ma attenzione, come persone ce ne accorgiamo;
- relazione: devo dare informazioni pertinenti. Mi ricorda il caso di Trenitalia: se mentre acquisti un biglietto fai un errore di compilazione del modulo, l’interfaccia ti segnala l’errore e nello stesso tempo prova a venderti la Carta Fedeltà. Olé;
- modo: dobbiamo evitare le ambiguità.
Se un’interfaccia non è chiara, lascia zone d’ombra e non ci fa capire quale esito avrà la nostra azione, la conversazione morirà lì, e senza dispiacere.
E sarà impossibile dare la tanto agognata voce umana alla tecnologia.
Fonti: